Il Presidente argentino Mauricio Macri ha annunciato una tassa di 4 pesos per ogni dollaro di esportazioni di cereali e altri prodotti agricoli (al cambio attuale il prelievo si aggira attorno al 10%) nell’ambito del programma di austerity finalizzato al rientro del deficit e alla stabilità finanziaria. Il Paese è ormai vicino al collasso: il peso, la moneta locale, è in caduta libera da diversi mesi e l’inflazione sta crescendo a ritmi esponenziali, spingendo sempre più in alto i tassi di interesse.
L’adozione di un pacchetto anti-crisi – che oltre alla tassa aggiuntiva sull’export di commodity agricole prevede un taglio dei costi della PA, anche con accorpamenti di ministeri, e riduzioni dei trasferimenti agli enti locali – è stata posta dal FMI come condizione per lo sblocco di un prestito da $ 50 miliardi, già in parte erogato, necessario a garantire il servizio del debito estero per il prossimo triennio ed evitare il default.
La tassa annunciata dal Governo potrebbe avere un impatto significativo sulle prossime semine a granoturco, informano i sindacati agricoli. Un’eventualità che rischia tra l’altro di alimentare squilibri sui mercati internazionali, con l’Argentina che è il terzo maggiore esportatore mondiale di mais. Non sono previste invece, almeno nell’immediato, ripercussioni sul frumento, a operazioni di semina ormai concluse, ma non si escludono fenomeni di ritenzione dell’offerta e di ritardi nelle vendite da parte degli stessi agricoltori, in attesa di maggiori certezze sugli sviluppi del cambio peso/dollaro.
La tassa – ha spiegato Macri – agisce come una sorta di prelievo compensativo a carico di chi ha potuto finora beneficiare della svalutazione del peso, chiamato adesso a contribuire al risanamento dei conti pubblici. Nel panorama agricolo mondiale l’Argentina è anche il terzo maggiore esportatore di soia e leader assoluto sul circuito delle farine e degli oli di soia. Prodotti sui quali, a differenza dei cereali, la nuova tassa, per effetto di una rimodulazione dei preesistenti prelievi sull’export, non avrebbe tuttavia impatti considerevoli.
La lobby agricola, che ha favorito l’insediamento di Macri alla Casa Rosada, esprime da tempo il suo malcontento per l’inasprimento dei costi degli input produttivi, i cui prezzi, agganciati al dollaro, tendono a crescere. Le aziende scontano anche un aumento degli oneri finanziari sui prestiti (il tasso ufficiale della Banca Centrale è al 60% e l’inflazione ha superato a luglio il 31%) e un rincaro della bolletta energetica – spiegano ancora le rappresentanze agricole – dopo il taglio dei sussidi pubblici alle utility varato del Governo con il programma di riduzione del deficit.
Gli scambi bilaterali tra Italia e Argentina, nel settore agroalimentare, generano annualmente un disavanzo valutario di € 866 milioni.
A fronte di esportazioni nazionali per meno di € 42 milioni (dato 2017) si registrano importazioni da Buenos Aires per oltre 900 milioni, costituite in prevalenza da oli di soia e in misura minore da prodotti ittici, carni e agrumi. In generale non si prevedono comunque riflessi sulla bilancia commerciale italiana. Sono possibili solo effetti indiretti attraverso la catena di trasmissione dei prezzi, per ora circoscritti al granoturco, di cui l’Italia importa annualmente un quantitativo di 5 milioni di tonnellate.