Audizione alla Camera del Presidente di Confagricoltura: «Senza finanziamenti europei non si investe più, per invertire la rotta servono infrastrutture e reciprocità negli accordi commerciali».
«Il primo problema dell’agricoltura italiana è la mancanza di competitività. Oggi senza i Fondi Europei dei Piani di Sviluppo Rurale le imprese non investono più. Non si compra più un trattore o altre importanti strutture aziendali senza la garanzie del cofinanziamento PSR».
È questo il primo messaggio con cui il Presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti si è rivolto alla commissione Agricoltura della Camera per l’audizione sui problemi del settore, proprio mentre l’ISMEA presentava, in un palazzo romano a pochi passi da Montecitorio, il rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano.
Un’audizione che ha toccato i grandi temi della Brexit, («Siamo favorevoli a una soft Brexit», ha ricordato Giansanti), del bilancio UE (e qui ritorna la Brexit: «La Commissione – ha ricordato il presidente di Confagricoltura – in pratica vuol far pagare agli agricoltori le conseguenze dell’uscita del Regno Unito…») e delle guerre commerciali. Ma a emergere con forza sono state le debolezze strutturali del Made in Italy sulle quali Giansanti ha richiamato l’attenzione delle Istituzioni.
«Un aspetto centrale – ha detto – è la mancanza di infrastrutture.
Tutto il mondo chiede più Made in Italy e più sostenibilità, ma per spedire insalata della Piana del Sele a Dubai dobbiamo passare per l’Olanda perché le nostre tariffe aeroportuali non sono competitive. Al Sud la logistica per i produttori di grano duro è drammatica, il costo di trasferimento dei nostri prodotti è una delle priorità sulle quali intervenire».
ACCORDI COMMERCIALI POSITIVI MA SERVE SEMPRE RECIPROCITÀ
Il CETA tra UE e Canada e il JEFTA con il Giappone «rappresentano interessanti opportunità per le imprese italiane con l’azzeramento delle linee tariffarie tra l’85 ed il 92%, la tutela dei prodotti italiani a denominazione di maggior valore, pari al 90% del valore dell’export italiano verso il mondo dei prodotti agroalimentari con denominazione, l’armonizzazione delle normative e l’aumento della possibilità di dialogo costruttivo tra le parti»- ha detto ancora Giansanti nel corso dell’audizione.
«Nei Trattati internazionali dobbiamo avere la forza e il coraggio di distinguere e programmare i negoziati in funzione dei vantaggi per il Made in Italy. Abbiamo un paniere molto ampio di produzioni da difendere, quindi dobbiamo sforzarci di aumentare la nostra capacità negoziale per incidere di più. Alla base dev’esserci però sempre la reciprocità, con condizioni e standard di partenza uguali per tutti».
RIFORMA AGEA NON HA FUNZIONATO, COPIARE MODELLO FRANCESE
Sulle difficoltà di AGEA che rischia di perdere lo status di organismo pagatore riconosciuto dalla UE, Giansanti non ha usato vie di mezzo diplomatiche: «La riforma di Agea non ha funzionato perché non è stata una vera riforma ma solamente una modifica del funzionamento degli uffici. Credo che gli agricoltori italiani – ha sottolineato – abbiano diritto a beneficiare delle stesse condizioni degli agricoltori francesi, che ricevono gli aiuti UE in un mese dal giorno della domanda, il 15 maggio. Io ho ricevuto il saldo del pagamento PAC 20 giorni fa. Se non riusciamo a riformare Agea copiamo il modello francese».
Altro tema quello della gestione dei dati: «La gestione dei dati in agricoltura sarà centrale per la futura politica agricola. Serve un’agenda digitale per la costruzione di un grande database italiano che consenta di programmare le politiche di settore. Meglio, servirebbe un’agenda digitale europea ma se non c’è partiamo da quella italiana». Sui voucher infine Giansanti ha ribadito che devono essere uno strumento aggiuntivo per gestire il lavoro occasionale e «Non devono essere un sistema per aggirare le norme sul lavoro». In particolare, ha detto Giansanti, «i voucher non sono, né possono essere, un sistema per aggirare le norme in materia di lavoro subordinato, ma sono solo uno strumento aggiuntivo in mano alle imprese agricole per gestire, in limitate ipotesi, situazioni che non rientrano negli schemi tipici del lavoro dipendente, bensì di quello occasionale ed accessorio».