Una maxi-performance, quella estera, per le paste italiane. Sei mesi a briglie sciolte che hanno proiettato l’export, tra gennaio e giugno di quest’anno, a quota € 1,2 miliardi, quasi il 7% in più rispetto al primo semestre 2017. I dati, resi noti dall’ISTAT con i conteggi di giugno, certificano una situazione oltre le attese, in netto miglioramento anche per quanto attiene ai volumi esportati, cresciuti anno su anno del 6% abbondante.

Una dinamica, quella oltre confine, in netta controtendenza con l’andamento dei consumi interni, che per le paste di semola tradizionali stanno cedendo quest’anno oltre due punti percentuali, basandosi sulle rilevazioni di Nielsen. La domanda estera, per i pastifici italiani, rappresenta ormai la componente prevalente, con l’export (oltre 2 milioni di tonnellate nel dato annualizzato) che è arrivato a coprire il 60% della produzione.

È prevedibile che al passo attuale il fatturato estero si spinga, a fine anno, a € 2 miliardi e mezzo, un incasso mai raggiunto in passato. Con l’Italia che andrebbe in questo caso a consolidare il suo primato mondiale sia per produzione che per export. Le cose stanno andando particolarmente bene in Europa. Nei flussi reali le spedizioni di pasta hanno inanellato, nei sei mesi in osservazione, avanzamenti del 6% in Germania e del 12% in Francia. E anche oltre Manica, dove Brexit e instabilità valutarie avrebbero potuto drenare le esportazioni, si è arrivati a giugno con un 8% in più di movimentazioni fisiche e con il 3,5% di maggiori incassi (i fatturati sono cresciuti dell’8% in Germania e del 15% in Francia).

Positivo il bilancio del semestre anche in USA, mercato in cui le paste italiane hanno potuto inanellare progressi dell’8% e del 5% rispettivamente in quantità e valuta. Brusco stop invece – ma si tratta dell’unico dato negativo nei top market – in Giappone, dove spaghetti e maccheroni non intercettano i nuovi trend di consumo. Crescita double digit in Spagna, Paesi Bassi, Svezia e Polonia. Anche se la migliore performance è sul mercato russo dove, esenti dall’embargo di Mosca, le paste tricolore, per volumi e incassi, sono quasi raddoppiate nell’arco di un solo anno.

Si delinea, nel frattempo, un bilancio peggiore rispetto alle aspettative iniziali per il raccolto di grano duro, materia prima per eccellenza nella filiera della pasta. In Canada, primo produttore ed esportatore mondiale, dopo un’estate senza piogge le stime sono state riviste al ribasso di 800mila tonnellate rispetto alle valutazioni di agosto, con la crescita del raccolto 2018 (circa 5 milioni di tonnellate) limitata adesso a un sono punto percentuale. Sarà in flessione invece del 4% l’offerta effettiva, in previsione di scorte iniziali inferiori alla scorsa stagione. Restano positive per le proiezioni di Statistics Canada sull’export (+9% su base annua) in vista di una richiesta UE più robusta e di una minore pressione, lato vendite, da parte di Messico, Kazakistan, Australia e Unione Europea.

Globalmente, gli analisti britannici dell‘International Grains Council valutano un raccolto di grano duro di 37,6 milioni di tonnellate, in crescita dell’1,6% rispetto al 2017-18, ma non è escluso un downgrade già con le previsioni di autunno, alla luce dei peggioramenti di resa annunciati anche nel Vecchio continente.

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