Proseguono i contatti tra i rappresentanti dei pescatori britannici e francesi, con l’obiettivo di trovare un accordo sulla pesca di capesante di fronte alle coste della Normandia. Al momento, il traguardo non sembra ancora a portata di mano.

Il nodo che resta da sciogliere riguarda le compensazioni chieste dagli operatori del Regno Unito, a fronte dell’impegno di estendere anche ai pescherecci di lunghezza inferiore ai 15 metri l’obbligo di sospensione delle catture secondo il calendario fissato dalle autorità di Parigi.

Le richieste britanniche sono state giudicate “sproporzionate” dalle associazioni professionali francesi.

Intanto, fanno discutere i risultati di uno studio diffuso nei giorni scorsi sulle conseguenze di una “hard Brexit” per il settore della pesca.

Lo studio è stato curato dai ricercatori dell’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi, che è ritenuta tra le più autorevoli a livello europeo per le ricerche in materia di agricoltura e pesca. Nel documento si sottolinea che l’uscita dalla UE, a fine marzo 2019, senza un periodo transitorio concordato con le istituzioni di Bruxelles, avrebbe pesanti conseguenze per il settore ittico e per i consumatori britannici.

Per effetto della “Brexit” salterebbero le quote stabilite annualmente dal Consiglio UE per i singoli Stati membri. Di conseguenza, le catture della flotta battente bandiera del Regno Unito potrebbero salire di circa il 15% nel periodo 2020-2025 rispetto agli attuali livelli, per un valore complessivo di £ 250 milioni. Però, l’aumento dell’offerta – si evidenzia nello studio – farebbe scendere i prezzi e, in generale, si registrerebbe una contrazione del reddito dei pescatori.

Non solo. Il Regno Unito è importatore netto di prodotti ittici (merluzzo, tonno e gamberetti le specie più importate). Con la “hard Brexit” l’import britannico di settore sarebbe assoggettato alle tariffe doganali decisi in sede di WTO, con il risultato di far salire i prezzi per i consumatori e, contestualmente, i costi di produzione delle industrie di trasformazione che più dipendono dalle importazioni di materia prima.

La posizione delle associazioni di categoria è netta. Con l’uscita dalla UE, il governo di Londra deve riprendere il pieno controllo delle proprie acque territoriali e stabilire le regole di accesso per le flotte di altri Paesi.

È stato, quindi, contestato l’orientamento delle autorità britanniche, secondo le quali le regole della politica comune della pesca dovrebbero restare in vigore nel corso di un periodo transitorio in scadenza alla fine del 2020.

Il blocco del libero accesso sollecitato dai pescatori britannici colpirebbe, in particolare, le flotte di Belgio, Danimarca, Irlanda e Paesi Bassi che nel complesso realizzano circa il 35% delle rispettive catture totali nelle acque territoriali del Regno Unito.

 

 

 

 

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