Il 23 agosto saranno imposti dazi aggiuntivi del 25% su una lista di 279 prodotti importati dalla Cina per un controvalore complessivo di $ 16 miliardi.
L’annuncio è stato diffuso l’8 agosto dal Rappresentante USA per i negoziati commerciali (USTR).
Pronta, e scontata, la replica del governo di Pechino: «Applicheremo, contestualmente, analoghe tariffe sul medesimo ammontare di beni importati dagli Stati Uniti».
Sotto il profilo procedurale, la decisione presa a Washington non è una novità in assoluto.
Si tratta, infatti, della seconda parte delle misure già entrate in vigore lo scorso 6 luglio per un ammontare di $ 34 miliardi. Al di là delle procedure, resta il fatto che le tensioni tra Stati Uniti e Cina continuano ad aggravarsi.
Intanto, cominciano a circolare le prime valutazioni riguardanti gli effetti dei dazi aggiuntivi cinesi sull’import di prodotti agro-alimentari dagli USA.
Il conto più salato potrebbe essere pagato dai produttori di soia, con un taglio dei redditi annuali nell’ordine di $ 3 miliardi, stando alle conclusioni di uno studio curato dalla Perdue University.
Se le tariffe cinesi resteranno in vigore a lungo, si rileva nello studio, gli Stati Uniti potrebbero perdere in via definitiva un mercato di sbocco, quello cinese, che ha assorbito lo scorso anno il 40% dell’export totale di soia.
Di conseguenza, si ridurrebbero di circa il 15% gli ettari messi attualmente a coltura. E le ripercussioni si estenderebbero a tutto il settore agricolo, con lo spostamento inevitabile degli investimenti verso il mais, che potrebbe subire un taglio dei prezzi per la crescita dei raccolti.
Per gli agricoltori americani dediti alla soia, insomma, le prospettive sono, al momento, negative.
Il grano
Del tutto diversa è, invece, la situazione per i produttori di grano, ma per motivi indipendenti dalla “guerra” commerciale con la Cina. Negli ultimi giorni i futures sul mercato di Chicago hanno fatto registrare spunti verso l’alto nell’ordine di cinque punti percentuali.
«Questa accentuata volatilità a breve termine – hanno rilevato gli esperti dell’Associazione USA dei cerealicoltori – sta ad indicare che i mercati scommettono su una significativa riduzione della produzione a livello mondiale».
A livello europeo, a causa della siccità, i raccolti di grano tenero sono previsti in calo dell’8% rispetto alla precedente annata.
Di recente, il Ministero dell’Agricoltura della Federazione Russa ha indicato che la produzione nella campagna 2018-2019 dovrebbe attestarsi attorno ai 65 milioni di tonnellate, con una contrazione del 25% nell’arco di un anno.
Raccolti in caduta libera anche in Australia, per effetto di una siccità da record.
Dal canto loro, le autorità ucraine hanno annunciato che quest’anno le esportazioni di grano saranno limitate a 8 milioni di tonnellate, due in meno sul livello del 2017.
Sulla base delle stime elaborate dall’Associazione USA dei cerealicoltori, il rapporto tra stock e consumi di grano a livello mondiale dovrebbe scendere al 19%. Occorre risalire fino alla campagna di commercializzazione 2007-2008 per ritrovare una percentuale analoga.
In conclusione, tutto lascia pensare che le quotazioni del grano sono destinate a salire. E in misura considerevole secondo gli analisti americani.