Il vino italiano alla sfida del Mosto concentrato rettificato cristallino. Una partita dalla quale dipende una buona fetta di futuro della filiera italiana e che si giocherà almeno su due tavoli: da un lato quello dei benefici in termini economici e logistici del ricorso al mosto concentrato rettificato solido in cantina e, dall’altro in sede UE, quello del negoziato sul rinnovo delle regole in materia di etichettatura dei vini. Una prospettiva inoltre diventata di grande attualità in un frangente come l’attuale nel quale la carenza di mosti concentrati sul mercato (dovuta soprattutto alle difficili condizioni delle precedenti vendemmie) ne ha determinato una vera e propria escalation dei prezzi.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, il mosto concentrato rettificato solido è un prodotto sviluppato in alternativa al mosto concentrato rettificato per l’arricchimento dei vini e uno dei principali produttori in Italia è l’azienda Naturalia, società con sede a Bologna ma con uno stabilimento in Sicilia, che fa capo al Gruppo Industriale Maccaferri e che ne produce circa 1.800 tonnellate l’anno commercializzate per il 70% in Italia e per il restante 30% all’estero. «Naturalia ha individuato un sistema denominato ‘a colonne di separazione’ con il quale ha creato questo zucchero – spiega Attilio Scienza, docente di Viticoltura ed Enologia all’Università di Milano che insieme all’Istituto di San Michele all’Adige ha effettuato un’articolata serie di prove sull’utilizzo del mosto concentrato rettificato solido sui vini tanto fermi quanto sugli spumanti -. Questo sistema consente di separare i due zuccheri presenti nel mosto, glucosio e fruttosio, riunendoli successivamente allo stato cristallino. Il risultato è un prodotto di qualità superiore a un normale MCR che invece anche nel caso in cui viene purificato reca tracce di fenoli o di altre sostanze frutto della separazione e che incidono sulla qualità del prodotto finale dopo l’arricchimento».

Inoltre, il mosto concentrato rettificato solido presenta altri importanti vantaggi rispetto al semplice MCR, e cioè può essere movimentato facilmente (si trova in confezioni simili a quelle dello zucchero in commercio) e può essere stoccato senza subire alterazioni. «Cosa che non accade per l’MCR – aggiunge Scienza – che invece restando allo stato semisolido comporta difficoltà di movimentazione e soprattutto non può essere conservato da un anno all’altro perché impacca, cioè si solidifica al punto da diventare quasi come un blocco di marmo».

Poi c’è la partita della revisione delle norme sull’etichettatura dei vini. L’Italia sta portando avanti e sostenendo, per una volta in maniera compatta, una proposta importante: quella di prevedere l’obbligo per chi utilizza nell’arricchimento dei vini zucchero di bietola o di canna di indicarlo espressamente in etichetta. E questo perché utilizzare zuccheri comuni per l’arricchimento dei vini da un lato presenta costi molto inferiori rispetto alla pratica con mosti (e da qui si genera un vantaggio competitivo per le imprese europee delle poche aree che lo possono fare rispetto alle altre, come le italiane, alle quali il ricorso allo zucchero è vietato), «ma soprattutto – aggiunge Scienza – si introduce nel processo produttivo un elemento estraneo alla filiera vitivinicola, un prodotto che non deriva dall’uva. Che almeno lo si indichi in etichetta quindi come lo si farebbe se si introducesse un elemento estraneo alla filiera d’origine nel caso del pomodoro o dell’olio d’oliva».

Secondo il docente di Enologia dell’Università di Milano l’obiettivo alla portata dell’Italia potrebbe essere quello che l’indicazione in etichetta degli elementi che non provengono dal vigneto venga almeno prevista per i vini spumanti. Infatti, mentre per i vini fermi esiste in Europa il doppio regime con i Paesi del Nord che possono ricorrere allo zuccheraggio e quelli del Sud ai quali è precluso «per gli spumanti – dice ancora il docente dell’Università di Milano – tutti i produttori possono ricorrere allo zucchero nelle rifermentazioni. Stiamo parlando di una cifra tra gli 1,5 e i 2 miliardi di bottiglie in Europa. Già sarebbe un bel risultato».

Senza contare poi sullo sfondo la congiuntura che vede oggi una scarsa disponibilità di mosto sul mercato con conseguente crescita dei prezzi. «Il punto chiave è che l’MCR non si può stoccare e conservare da un anno all’altro – conclude Scienza -. E nelle ultime vendemmie a causa del forte caldo le uve hanno spesso completato la propria maturazione raggiungendo significative gradazioni zuccherine. Per questo, riducendosi la necessità di arricchire i vini, è stato prodotto poco mosto. Quest’anno invece l’inversione di tendenza: abbiamo avuto una primavera fredda con una produzione in volume molto maggiore ma con un rallentamento dei fenomeni di maturazione. Il punto, inoltre, è che oggi è difficile recuperare piante che hanno subìto danni da grandinate o a causa della peronospora. Quest’ultima ha danneggiato le aree fogliari delle viti che sono quelle nelle quali si accumula una parte degli zuccheri dell’uva. Per questo oggi c’è una carenza di zucchero e si prospetta la necessità di arricchire i vini. Insomma, ci sono tutte le condizioni per far compiere al mosto concentrato rettificato cristallino il definitivo salto di qualità».

 

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