Roberto Gualtieri è il Presidente della Commissione per i problemi economici e monetari dell’Europarlamento e per l’Europarlamento segue i negoziati su Brexit.
Fa infatti parte del Brexit Steering Group per i Socialisti e democratici, e assieme al tedesco Elmar Brok del PPE e al belga Guy Verhofstadt dell’ALDE ha partecipato agli incontri del Consiglio europeo sull’uscita del Regno Unito dalla UE.
Gualtieri ha dunque seguito da vicino i 18 mesi di negoziati che hanno portato alla firma dell’accordo fra il governo britannico e i 27 Paesi UE il 25 novembre scorso a Bruxelles. Accordo sempre più in bilico perché contestato da parte dei conservatori formalmente al governo con la Premier Theresa May e duramente avversato dai dieci deputati del DUP, il partito nordirlandese che tiene in piedi quello stesso governo.
La crisi a Londra è nota, il cuore della questione pure: i deputati britannici ribelli che avversano l’accordo non accettano il backstop, la rete di protezione fra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord che di fatto lascia il Regno Unito nell’unione doganale quindi dentro la UE anche se «temporaneamente» cioè fin quando verranno definiti i futuri rapporti commerciali. In questi giorni, costretti dagli eventi e dalla vivacità della politica britannica, abbiamo raccontato il punto di vista del Regno Unito. Roberto Gualtieri aiuta a chiarire quello dell’Unione Europea.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali, e perentorie, di Jean-Claude Juncker e Angela Merkel, c’è margine di manovra per modificare l’accordo sull’uscita del Regno Unito dalla UE?
Come già ripetuto più volte, l’accordo di ritiro non può essere modificato: su questo punto la convergenza fra Commissione, Parlamento e Consiglio è totale. Si potrà aggiungere una dichiarazione per chiarire meglio che il backstop rappresenta una sorta di assicurazione antincendio: nessuna delle due parti intende utilizzarla, a partire dall’UE.
Però, qualora il Regno Unito accettasse il Norway plus (il Regno Unito, come la Norvegia, non sarebbe membro UE ma farebbe parte della European Economic Area e quindi resterebbe nel mercato comune, con ovvi obblighi anche per la circolazione delle persone) sarebbe un altro scenario e si potrebbe modificare anche la dichiarazione politica (le 26 pagine che accompagnano le 580 del trattato firmato il 25 novembre). Al momento, però, non ci sono le condizioni. In questo momento l’unica cosa che si può fare è introdurre un chiarimento su cosa è davvero il backstop cioè una garanzia di ultima istanza, una situazione che non è ottimale neanche per l’Unione Europea.
Perché?
Perché se si attivasse il backstop, il Regno Unito rimarrebbe nell’unione doganale ma fuori dal mercato unico e questo potrebbe porre problemi di level playing field, cioè di parità di condizioni tra gli operatori economici. Nel protocollo sull’Irlanda ci sono una serie di misure per limitare questo problema, ma è chiaro che non si tratta di una soluzione ottimale. Vorrei ricordare che la proposta originaria della UE era che il backstop fosse limitato alla sola Irlanda del Nord, è stato il governo britannico a chiedere l’allargamento della sua dimensione doganale a tutto il Regno Unito. Richiesta comprensibile per salvaguardare l’unità del Regno ma anche mossa che alla Premier May e all’accordo da lei firmato ha portato gli ostacoli più grandi.
Cosa succede se l’accordo non passa, cioè lo scenario «no deal»?
L’hard Brexit è uno scenario molto negativo, causerebbe problemi drammatici innanzitutto per il Regno Unito ma gravi anche per l’Unione Europea. Per questo l’unica alternativa credibile a questo accordo è «no Brexit», che per me naturalmente sarebbe la cosa migliore, o «Norway plus». Naturalmente come è giusto ci stiamo preparando anche allo scenario peggiore, preparando le misure necessarie ad attenuare per l’UE le conseguenze di una hard Brexit, come per esempio l’equivalenza per un anno per il clearing dei derivati, ma sono misure temporanee e limitate.
Lei è stato a Londra dove ha incontrato e lavorato con Theresa May. Si è potuto fare un’idea di com’è come negoziatrice, adesso la Premier punta a rinviare il voto del parlamento fino a 21 gennaio. Crede che la spunterà?
Adesso non si tratta più di misurare la sua capacità negoziale. Il problema è ora la sua forza politica interna e la sua capacità di governare un partito rissoso.