Brexit ha portato Theresa May sull’orlo del precipizio ma poi l’ha salvata. È stata la consapevolezza dei deputati di essere in un momento critico della storia britannica che ha portato la maggioranza dei Tories a votare a favore della Premier.
La mozione di sfiducia voluta dal fronte pro-Brexit è fallita. Duecento deputati conservatori l’hanno respinta, un numero superiore ai 159 voti necessari – la metà più uno dei conservatori in Parlamento. Le previsioni di vittoria per la May sono state rispettate, nonostante i timori che molti deputati che avevano espresso il loro sostegno sfruttassero poi lo scrutinio segreto per tradirla.
Il contrattacco appassionato della Premier ha convinto molti. La May aveva avvertito che senza di lei Brexit rischia di fallire, perché le alternative sono un rinvio o un annullamento dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Un nuovo leader, ha spiegato la May, non avrebbe il tempo per rinegoziare un accordo con la UE prima del 29 marzo 2019, data prevista di Brexit e dovrebbe quindi chiedere ai 27 un allungamento dei tempi oppure revocare unilateralmente l’articolo 50 dei Trattati, di fatto annullando il referendum del 2016.
Altri sono stati persuasi dalle critiche di veterani del partito come Ken Clarke e Nicholas Soames, che hanno definito “irresponsabile” il gesto dei ribelli pro-Brexit, che in un momento delicatissimo per il Paese, che dopo 45 anni sta per lasciare la UE, hanno anteposto cieca ideologia e ambizione personale all’interesse nazionale.
Altri ancora, pur senza entusiasmo, hanno accettato il patto che la May ha proposto in extremis per salvare la sua leadership: in cambio del voto a suo favore si è impegnata a concludere Brexit come aveva promesso di fare e poi a uscire di scena. Un altro leader Tory guiderà il partito alle prossime elezioni, previste nel 2022.
La May resta quindi leader del partito e le regole prevedono che per un anno nessuno potrà indire un’altra mozione di fiducia. Ha superato l’ennesimo scoglio e ha conquistato il tempo necessario per condurre il porto l’accordo, ma il percorso che ha di fronte resta tutto in salita.
Un terzo dei conservatori, 117 deputati, hanno votato contro la May, ben oltre le 48 firme necessarie per indire il voto di fiducia. Le divisioni interne al partito sono state confermate e la già fragile autorità della Premier è stata ulteriormente erosa. Dopo il voto ha detto di essere “grata” per il sostegno dei colleghi, ma ha ammesso che “un numero significativo dei miei colleghi ha votato contro di me e io ho ascoltato quello che hanno detto”. L’episodio ha rafforzato il suo senso di dover “concludere la missione e completare Brexit per rispettare la volontà popolare” espressa nel referendum del giugno 2016.
La Premier ha vinto una battaglia ma deve ancora combattere la guerra. La possibilità che il Parlamento approvi l’accordo su Brexit da lei negoziato a Bruxelles resta remota. Oggi la May potrà andare a Bruxelles e partecipare al summit europeo come leader del partito e del Paese, ma difficilmente potrà convincere i 27 a modificare il testo dell’accordo concordato dopo un anno e mezzo di difficili negoziati.
La via verso Brexit resta irta di ostacoli. “L’incertezza sta soffocando le imprese e minacciando posti di lavoro, nel breve periodo-, ha detto ieri sera Carolyn Fairbairn, direttore generale della CBI, la Confindustria britannica. – Le imprese hanno bisogno di sapere che non ci sarà un caotico no deal Brexit. Questo voto di fiducia deve essere un punto di svolta, una chance di riportare la fiducia nella politica e nell’economia”.
Il fronte pro-Brexit però non intende gettare la spugna, secondo le dichiarazioni fatte ieri dopo la sconfitta. “Il risultato è stato terribile, – ha detto Jacob Rees-Mogg, leader della rivolta.- La Premier deve dare le dimissioni”.
Il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn, che finora ha esitato, potrebbe ora decidere di chiedere una mozione di fiducia per far cadere il Governo e andare a nuove elezioni che spera di vincere. Il partito laburista da solo non ha i numeri per sfiduciare la May, ma potrebbe ottenere il sostegno dei deputati pro-Brexit frustrati dal fallimento del loro tentativo di deporla.
In questa situazione di caos politico e di spaccatura del partito conservatore, una soluzione potrebbe essere la formazione di un Governo di unità nazionale come durante le due guerre mondiali. L’hanno proposta diversi deputati conservatori filo-europei come mezzo estremo per neutralizzare un “no deal”, il rischio di un’uscita senza accordo.
“Se potessi scegliere vorrei che fosse un Governo di unità nazionale a gestire questa crisi, il problema più grave che questo Paese ha affrontato dopo la guerra”, ha detto Sir Nicholas Soames, veterano Tory e nipote di Winston Churchill.
“Un Governo di unità nazionale potrebbe essere la soluzione perché il Primo Ministro non deve necessariamente essere il leader di un partito, – ha sottolineato ieri Tim Bale, professore di politica alla Queen Mary, University of London. – Churchill diventò Premier mentre Chamberlain era ancora leader dei Tories. Questo vuol dire che una figura accettabile alla maggioranza dei deputati, non il laburista Jeremy Corbyn per intenderci, potrebbe essere scelta per traghettare il Paese attraverso questa tempesta”.
Secondo Bale la persona più adatta a svolgere questo ruolo sarebbe Amber Rudd, attuale Ministro del Lavoro ed ex ministro dell’Interno, una Tory che aveva votato Remain e che è considerata una persona seria e affidabile. “Purtroppo le scelte logiche non sembrano però essere quelle che i nostri politici seguono negli ultimi tempi”, ha aggiunto.