Scende a 68,6 milioni di tonnellate, minimo da otto anni, la produzione mondiale di mele. A snocciolare le cifre è l’USDA, evidenziando la défaillance della Cina, primo produttore mondiale, incappata quest’anno nella trappola delle gelate primaverili. Un drastico dietro-front della produzione precipitata, oltre la Grande Muraglia, a 31 milioni di tonnellate, il 25% in meno rispetto alla scorsa campagna e minimo assoluto da nove anni.

Non è bastato a bilanciare le perdite del Dragone l’effetto “rebound” in Europa, dove alla pessima stagione trascorsa, segnata anche questa dalle gelate primaverili, ha corrisposto quest’anno un recupero in versione extra large, che ha proiettato al record di 14 milioni di tonnellate il raccolto di mele dei Ventotto, cresciuto del 40%. Un risultato dietro al quale si celano però problemi di sovrapproduzione in Polonia, primo player nel Vecchio Continente, che con vendite a prezzi stracciati sta sparigliando le carte sui mercati internazionali, spiazzando gli altri competitor.

Nei meleti degli USA, le condizioni non sono mutate rispetto allo scorso anno, con la conferma di un raccolto di 5 milioni di tonnellate, ma con peggiori prospettive per l’export, soprattutto nel mercato messicano, dove il Governo ha imposto da giugno un dazio del 20% sulle mele a stelle e strisce, come misura di ritorsione alle chiusure di Washington.

Nell’Emisfero meridionale si segnala il sesto calo consecutivo delle superfici in Cile, dove è in atto una riconversione degli impianti a vantaggio di colture più remunerative, in particolare ciliegie e frutta in guscio. Stessa evidenza nelle campagne argentine, dove in sostituzione dei meleti si registrano soprattutto nuovi impianti viticoli.

Al contrario, in Nuova Zelanda prosegue il trend espansivo di superfici e raccolti, con la produzione stimata quest’anno al livello record di 580 mila tonnellate. Decisivo il contributo delle varietà “club” protette da brevetti e soggette al pagamento di royalty, che sui mercati stanno avendo in questi anni un successo crescente.

In questo contesto l’Italia, con una produzione in netto recupero rispetto all’anno scorso, ma comunque al di sotto del potenziale, sta attraversando una fase non particolarmente brillante, sia per la stagnazione dei consumi interni sia per l’export, che nei primi otto mesi del 2018 si è ridotto di oltre il 40% su base annua.

Ci sono comunque le premesse per recuperare il terreno perso in questi mesi, a partire da una produzione più che soddisfacente anche sul piano qualitativo, seppure in un contesto non semplice, soprattutto in Nord Africa e nei Paesi dell’Est Europa, dove il pressing di Varsavia rappresenta un serio ostacolo anche per le mele italiane.

Il recupero dei volumi (+30% circa rispetto alla scorsa campagna), dopo il peggior esito produttivo degli ultimi decenni, ha trascinato intanto al ribasso anche le quotazioni. Mediamente i valori attuali accusano, a seconda delle varietà, riduzioni su base annua tra il 20%  e il 30%, in un mercato che dovrebbe tendere però a migliorare, in previsione di un risveglio dei consumi con l’arrivo delle temperature invernali.

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