Rese in caduta libera, con danni significativi ai raccolti e margini di recupero ormai azzerati. Una debacle su tutti fronti per i produttori europei di patate, spiazzati dal caldo record e dalla più grave siccità della storia recente.

È da maggio, d’altro canto, che il clima ha voltato le spalle agli agricoltori nordeuropei che, in accordo con le rappresentanze industriali, si attendono adesso una perdita produttiva di almeno il 25% rispetto alla media storica.

I primi campionamenti in campagna hanno dato tutti esiti negativi, con rendimenti dal 15% al 25% inferiori ai potenziali e frequenti casi di scadimento qualitativo dei tuberi. La situazione ovviamente è peggiore in quelle aree dove non è stato possibile effettuare le irrigazioni, sia per la mancanza di impianti sia per i divieti imposti dalle autorità locali, nella necessità di contingentare gli impieghi irrigui privilegiando gli usi civili.

Il North-western European Potato Growers (NEPG), l’organismo che riunisce i cinque maggiori produttori dell’UE (Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Regno Unito), ha tracciato un bilancio disastroso, preconizzando perdite finanziarie considerevoli e inadempienze contrattuali per cause di forza maggiore con buyer e industria di trasformazione.

Ci vorrà una buona dose di flessibilità nel gestire i rapporti interprofessionali, riferisce un portavoce del Sindacato Britannico degli Agricoltori, NFU, segnalando che la situazione di emergenza seguita al pessimo andamento climatico avrà un considerevole impatto sulle rese, in un’annata peraltro già segnata Oltremanica da un calo delle semine del 3%.

In Francia, Belgio e Germania sono in corso i colloqui per trovare una soluzione concordata ai casi di mancato rispetto degli impegni contrattuali, a fronte dei quali diverse rappresentanze agricole hanno già attivato, in una prospettiva di svincolo, le richieste di stato di calamità naturale.

C’è anche il rischio che il calo dei rendimenti in campagna riduca le disponibilità di patate da seme, pregiudicando la prossima campagna di semina e causando altri disagi agli utilizzatori industriali, i cui fabbisogni sono in crescita ormai da anni.

Uno scenario, questo, che considera anche un prevedibile azzeramento degli stock di fine stagione, necessari, soprattutto nelle fasi iniziali della commercializzazione, a rimpinguare le disponibilità, tanto più in situazioni di probabile carenza d’offerta.

Le implicazioni di questa poderosa perdita di resa in Europa saranno soprattutto economiche. Oltre ai vuoti d’offerta, contribuiscono infatti a definire un quadro di tensione sul versante dei prezzi le attese di un aumento dei costi di stoccaggio, motivate dal peggioramento della qualità dei raccolti.

Quanto all’Italia, la situazione appare decisamente migliore rispetto al resto dei Paesi europei. Nonostante il calo dei rendimenti, le prime valutazioni sono positive sia in Emilia Romagna sia in Abruzzo, dove anche la qualità non presenta particolari problemi.

Dall’aumento dei prezzi sui mercati UE potrà inoltre derivare una migliore remuneratività per l’intera filiera, con il listino che alla Borsa Merci di Bologna si è già spinto, per i calibri 45/75, fino a un massimo di 55 centesimi per chilo, contro i 38 centesimi registrati a inizio settembre 2017 (+45%).

 

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