Inizia oggi una settimana cruciale per Brexit: domani (martedì 11) il Parlamento dovrà decidere se approvare il Withdrawal Agreement, l’accordo sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea negoziato da Theresa May, e la dichiarazione politica sui rapporti futuri con la UE.

Diversi ministri hanno consigliato alla Premier di rinviare il voto, dato che una vittoria sembra impossibile, ma per ora May ha deciso di procedere. Le previsioni sono di una sconfitta: servono i voti di 320 deputati per l’approvazione e il partito conservatore ne ha 316. Di questi, un centinaio si sono già apertamente schierati contro l’accordo. Il Governo dipende dal Democratic Unionist Party nord irlandese (DUP) per avere la maggioranza in Parlamento, ma i dieci deputati DUP a Westminster hanno annunciato che voteranno contro perché contrari al “backstop” (o polizza di assicurazione) per evitare il ritorno di un confine interno tra le due irlande.

Il partito laburista all’opposizione, che ha 241 deputati, è contrario all’accordo e voterà contro. Per poter sperare in un’approvazione, quindi, la May ha bisogno sia di convincere decine tra i propri Tories a sostenerla che persuadere numerosi “ribelli” laburisti a votare contro le indicazioni del loro leader. Una missione che sembra impossibile.

In queste ultime, frenetiche giornate prima del voto la Premier ha fatto di tutto per convincere i deputati incerti, sia Tory che Labour, a votare a favore usando due argomentazioni:

  • la prima, mirata ai sostenitori di Brexit, è che una sconfitta dell’accordo in Parlamento potrebbe portare a un secondo referendum e alla decisione di restare nella UE. Meglio accettare un compromesso che, per quanto imperfetto, garantisce l’uscita dall’Unione che ritrovarsi punto a capo dopo due anni e mezzo senza alcun tipo di Brexit.
  • L’altra strategia è insistere che la gente è esausta e vuole una conclusione della vicenda Brexit in tempi rapidi per poter, come ha detto la May, «tornare a vivere una vita normale». Il messaggio ai deputati è che se prolungano la battaglia e lo stato di incertezza sul futuro, gli elettori non si sentiranno rappresentati e li puniranno alle prossime elezioni.

Secondo fonti attendibili, la Premier spera di convincere abbastanza deputati se non a votare a favore dell’accordo almeno ad astenersi, nella convinzione che astensioni di massa potrebbero facilitare l’approvazione o perlomeno moderare la sconfitta.

Scenario 1: vittoria di May

L’opera di persuasione svolta dalla May potrebbe andare a segno. Abbastanza deputati, per quanto contrari all’accordo, al momento del voto potrebbero avere paura delle conseguenze imprevedibili di una sconfitta e decidere di seguire la linea del Governo. La mozione potrebbe passare. Per quanto improbabile, questo sarebbe l’esito più semplice: la May resterebbe in sella e ci sarebbe la certezza che la Gran Bretagna uscirà come previsto il 29 marzo 2019 e che, come stabilito con la UE, ci sarà un periodo di transizione che dovrebbe finire nel dicembre 2020 ma che potrebbe essere prorogato.

Scenario 2: di nuovo al voto in Parlamento

Se l’accordo sarà sconfitto ma non in modo catastrofico – per qualche decina di voti e non centinaia – la May potrebbe tornare a Bruxelles e chiedere qualche cambiamento al testo dell’accordo e poi procedere con un secondo voto in Parlamento. La UE ha continuamente ribadito che quello sul tavolo è “il migliore e l’unico accordo possibile” e che non intende riaprire le trattative, ma se si tratta di dare un’ultima spinta verso l’approvazione da parte di Westminster potrebbe forse accettare di fare qualche modifica.

Le regole prevedono che in caso di sconfitta il Governo presenti una nuova strategia entro un massimo di tre settimane e che ci sia poi un secondo voto entro sette giorni, ma con ogni probabilità i tempi sarebbero più rapidi.

Scenario 3: mozione di sfiducia al Governo

Il partito laburista potrebbe presentare una mozione di sfiducia al Governo, ma non ha i numeri per farla approvare senza il sostegno di deputati di altri partiti. Anche la May potrebbe optare per una mozione di fiducia nella speranza di rafforzare la propria posizione indebolita dalla sconfitta. Se la perdesse, si andrebbe a elezioni anticipate da indire dopo un minimo di 25 giorni per consentire i preparativi.

Scenario 4: elezioni anticipate

Se la sconfitta in Parlamento sarà massiccia, la stessa May potrebbe chiedere elezioni anticipate per uscire dall’impasse. Secondo le regole, deve esserci il via libera di due terzi del Parlamento. Il partito laburista voterebbe a favore ma per procedere serve anche l’approvazione di numerosi deputati conservatori.

Scenario 5: dimissioni May

Se la sconfitta sarà massiccia, la May potrebbe concludere che non ha la fiducia del Parlamento e neanche del suo partito e rassegnare le dimissioni. L’opzione è però ritenuta improbabile sia perché la Premier è molto determinata ad “andare fino in fondo”, come ha ripetuto diverse volte, sia perché non c’è un successore ovvio e quindi una sua uscita di scena non risolverebbe il problema. Il partito è talmente diviso in fazioni che non c’è un candidato che avrebbe il sostegno necessario. David Lidlington, il vicepremier de facto, potrebbe prendere le redini in via temporanea ma non sarebbe una soluzione di lungo termine.

Scenario 6: No-Deal

In teoria, la posizione predefinita o conseguenza inevitabile di un voto contrario in Parlamento sarebbe un “no deal”, cioè un’uscita dalla UE senza un accordo. In pratica, però, è una possibilità remota perché il Governo è contrario e non c’è una maggioranza in Parlamento per procedere. Solo una manciata di oltranzisti pro-Brexit ritiene positiva l’opzione di lasciare la UE senza un’intesa, che economisti e imprese considerano devastante per l’economia. La Banca d’Inghilterra ha avvertito che porterebbe alla recessione e avrebbe un impatto immediato sulla sterlina. Il Parlamento la settimana scorsa ha approvato una mozione che concede ai deputati il potere decisionale sui passi successivi alla sconfitta dell’accordo, quindi è improbabile che il “no deal” sia contemplato.

Scenario 7: secondo referendum

La novità emersa nel fine settimana è che anche gli oltranzisti pro-Brexit si stanno preparando a un secondo referendum. Dato che l’ipotesi da loro preferita di un “no deal”, l’uscita senza accordo, è ormai considerata remota a causa dell’opposizione del Parlamento, i sostenitori di una hard Brexit puntano ora a organizzare la campagna in vista di un secondo voto per convincere gli elettori a votare di nuovo a favore di uscire dalla UE.

Richard Tice, coordinatore di «Leave means Leave» si è detto convinto che un secondo referendum potrebbe essere indetto entro due settimane e che le chance sono 50/50. L’opzione di un secondo referendum, che era stata proposta da un gruppo di deputati pro-UE di diversi partiti, ha conquistato consensi nelle ultime settimane.

La May si è schierata contro perché lo ritiene un tradimento della volontà popolare espressa nel 2016, ma i sostenitori sottolineano che un secondo voto sarebbe democratico perché permetterebbe agli elettori di esprimere la loro opinione con maggiori informazioni a disposizione sulle conseguenze di Brexit. Stamani la Corte di Giustizia Europea ha pronunciato il suo verdetto su un caso avviato mesi da alcuni deputati anti-Brexit e ha confermato, come previsto, l’opinione espressa la settimana scorsa dall’avvocato generale. La sentenza conferma quindi che la Gran Bretagna può revocare l’articolo 50 e quindi annullare Brexit unilateralmente, senza il permesso della UE o dei 27, cosa che faciliterebbe un secondo referendum. Il Governo deve prima approvare la legge necessaria per indire un altro voto. Per poterlo organizzare servono diverse settimane, quindi sarebbe necessario anche chiedere alla UE di concedere più tempo, rinviando Brexit ben oltre la data prevista del 29 marzo 2019. I sostenitori del cosiddetto «People’s vote» sono convinti che i 27 Paesi membri sarebbero d’accordo e che un secondo referendum, ora che gli elettori sono più informati, porterebbe alla scelta di restare nella UE.

Scenario 8: «Norvegia per adesso»

Nel fine settimana Amber Rudd, Ministro del Lavoro e fedelissima della May, è stata il primo ministro in carica a dichiarare che se l’accordo sarà respinto allora l’opzione meno negativa sarebbe quella norvegese. La Rudd l’ha definita una “opzione plausibile anche se non desiderabile.” Numerosi deputati nelle ultime settimane hanno sostenuto questa ipotesi, dicendosi convinti che avrebbe una maggioranza in Parlamento e potrebbe quindi essere approvata senza troppe scosse. La Gran Bretagna entrerebbe nello Spazio Economico Europeo, restando quindi nel mercato unico e non ci sarebbero contraccolpi per l’economia. Al contrario della Norvegia, dovrebbe restare anche nell’unione doganale per evitare il problema del confine interno irlandese.

Con questa soluzione non ci sarebbero contraccolpi per l’economia e per gli scambi commerciali e Londra uscirebbe dalla Politica Agricola Comune e dalla Politica comune sulla pesca. La Gran Bretagna dovrebbe però accettare la libera circolazione delle persone e quindi non potrebbe limitare l’immigrazione e «riprendersi il controllo delle frontiere» come ha promesso May. Inoltre, dovrebbe rispettare regole imposte dalla UE e continuare a versare contributi al budget UE. L’opzione viene chiamata «Norvegia per adesso» perché nelle intenzioni dei deputati che la sostengono sarebbe una soluzione temporanea per tre anni in attesa di negoziare un nuovo trattato di libero scambio definitivo con la UE.

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