L’accordo CETA va difeso, è ancora presto per valutarne gli effetti di un’intesa che comunque prevede interventi e semplificazioni che apriranno di certo nuove opportunità ai vini italiani. Opportunità che senza questa intesa sarebbero state perse.

A far sentire la propria voce in difesa del CETA, l’accordo di libero scambio tra UE e Canada, che appena pochi giorni fa ha “compiuto” un anno dal proprio varo, anche se in alcuni Paesi come l’Italia ancora non è stato ratificato, è scesa la Federvini, la Federazione degli Industriali dei Vini degli Alcolici e degli Aceti. Federvini ha difeso l’accordo CETA che invece nei giorni scorsi era stato messo in discussione dalla Coldiretti e proprio relativamente al vino.

In particolare, nei giorni scorsi era stata la Coldiretti a denunciare come nel primo semestre del 2018 (anche se il CETA in realtà è entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre 2018) si sia assistito a una frenata dell’export di vino Made in Italy in Canada.

In particolare, secondo la Coldiretti «Nel primo semestre 2018, le vendite di bottiglie di vino Made in Italy in Canada sono calate del 3% rispetto allo stesso periodo del 2017. Con il CETA quindi – ha denunciato Coldiretti – si è verificata una brusca inversione di tendenza, sia in quantità che in valore, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando le bottiglie esportate erano aumentate di ben il 14%».

In difesa dell’accordo di libero scambio UE- Canada era però già intervenuta Agrinsieme che invece aveva ricordato come nell’intero periodo seguito al varo dell’intesa l’export agroalimentare italiano era cresciuto di oltre il 7%. Adesso a spezzare una lancia a favore del negoziato arriva anche Federvini.

«L’accordo commerciale con il Canada ed in generale una politica attenta agli accordi commerciali sono determinanti per il nostro export – spiegano a Federvinisoprattutto nel medio e lungo periodo».

«Le statistiche vanno sempre interpretate e valutate in relazione a tutti i possibili fattori che le compongono e influenzano – ha aggiunto il presidente di Federvini, Sandro Boscaini -. Guardando all’export verso il Canada nel primo semestre 2018 a valore la contrazione è decisamente contenuta – parliamo di un -0,5% – e in buona parte collegabile a problemi di commercializzazione in Canada, anche proprio in funzione dell’entrata in vigore del CETA: la fase di attesa finale, la decisione e il momento di avvio, sono tutti elementi che intervengono durante cicli commerciali definiti e talvolta consolidati nel tempo. E non dimentichiamo che nello stesso periodo abbiamo avuto anche delle oscillazioni importanti nei valori di cambio delle valute».

Se valutiamo l’aspetto qualitativo rispetto al quantitativo – aggiungono ancora a Federvini – è utile ricordare come i vini DOP – dato gennaio -aprile 2018– abbiano avuto un’impennata nell’export verso il Canada del 10%. Dunque, una rimodulazione importante della domanda delle nostre etichette.

Ma al di là delle cifre sulle esportazioni restano sul tavolo anche altri elementi critici. Coldiretti in particolare ha ricordato come l’accordo di libero scambio UE-Canada non tuteli alcune importanti denominazioni italiane e lasci campo libero a prodotti come i wine kit, che spesso sono vere e proprie imitazioni di griffe enologiche Made in Italy e dei quali il Canada e produttore ed esportatore.

 

Su questi specifici punti Federvini invece non interviene ma ricorda a sua volta un altro aspetto, a loro giudizio positivo, del CETA che avrà impatto sul commercio di vino.

«Il CETA – concludono a Federvini – sarà inoltre efficace per superare le complessità amministrative del sistema distributivo che in Canada conta sulla presenza di monopoli, anche provinciali, che provvedono a controlli, stoccaggio e successiva commercializzazione e distribuzione tramite reti controllate. Un sistema, come si vede, alquanto costoso e farraginoso sul quale l’accordo ha iniziato ad intervenire. Un’opportunità quest’ultima che senza l’intesa l’Italia avrebbe rischiato di perdere».

 

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