L’agroalimentare resta il “gancio di traino” del Made in Italy, insieme a metalli, mezzi di trasporto e articoli farmaceutici, ma la dinamica dell’export, a causa del brusco dietro front dei prodotti agricoli non lavorati, perde leggermente di slancio, nonostante l’ottima performance all’estero del food trasformato, beverage incluso, da cui dipende il grosso del fatturato oltre confine.
Un disallineamento rilevato dall’Istat nei prospetti di giugno sul commercio con l’estero, che non cambia la direzione di marcia dell’Agrifood in generale, in crescita del 3% nel primo semestre 2018, a quota € 20,2 miliardi.
Unica nota negativa la lieve perdita di abbrivio rispetto ai primi cinque mesi dell’anno, in un contesto in cui l’apporto negativo dell’export agricolo sembra principalmente riflettere il calo del fatturato di frutta e ortaggi. La divergenza è certificata dal meno 3,8% su base annua dei prodotti primari (€ 3,4 miliardi) ampiamente controbilanciato dalla crescita del 4,6% delle esportazioni di alimenti lavorati e bevande, il cui giro d’affari è cinque volte maggiore di quello agricolo (16,8 miliardi).
Una performance che è valsa la riduzione di oltre un quarto della bolletta con l’estero dell’intero settore agroalimentare, il cui deficit strutturale si è ridotto a € 2,1 miliardi (erano 2,9 miliardi nei primi sei mesi del 2017).
Ad alleggerire il disavanzo della bilancia agroalimentare hanno concorso sia le importazioni di commodity agricole, scese dell’1,5%, sia la spesa per il food & beverage industriale, in calo di un frazionale 0,4%, con un esborso ammontato complessivamente a € 22,3 miliardi (-0,8% anno su anno).
Diversi elementi stanno contribuendo tuttavia a definire un quadro di maggiore incertezza, che prefigura scenari difficili da valutare. Trade meno “free” e impoverito negli “agreement”, depotenziato da tariffe e divieti, Brexit ormai alle porte ma incerto negli esiti delle trattative, parziale indebolimento del ciclo. Fattori a cui si aggiungono le destabilizzazioni sui mercati valutari e il rischio crisi degli Emergenti.
Relativamente al food trasformato (bevande incluse) i dati Istat segnalano una dinamica più lenta oltre Manica, dove l’export avanza di soli 2 punti percentuali. In Germania la performance è nettamente migliore con un più 7% (bene anche in Francia con un +6%), mentre in USA l’export non brilla, limitando i progressi all’1,4%.
Preoccupa il segno meno in Giappone dove le esportazioni cedono più di 3 punti percentuali in un anno. E anche in Cina l’Agrifood non decolla, con uno 0,3% di crescita in questi primi sei mesi molto distante dai “comparable” del settore.