Anche nel vino italiano c’è un problema di origine della materia prima. Che va affrontato quanto prima se non vogliamo fare la fine dell’olio d’oliva, della pasta o di alcuni prosciutti; ovvero, risolvendo nodi fondamentali come quello della dimensione aziendale e dell’efficienza dei processi produttivi.

È un vero e proprio sasso nello stagno quello lanciato da Lamberto Frescobaldi, presidente e AD dell’azienda di famiglia, una delle principali etichette del vino Made in Italy con un fatturato di € 105 milioni realizzato per il 65% all’estero e che entra a gamba tesa su un tema che spesso ha sollevato polveroni di polemiche in diversi settori dell’alimentare italiano e che andrebbe sviscerato anche nel vino.

«In annate come la 2017 – spiega Frescobaldi – in cui la produzione è stata ai minimi, si è assistito a rilevanti importazioni di vino sfuso che poi è “diventato” italiano. Mi riferisco in particolare ai vini frizzanti non a denominazione per i quali la spumantizzazione è considerata l’ultima trasformazione industriale rilevante e pertanto i mosti anche se importati nel momento in cui vengono spumantizzati in Italia vengono a tutti gli effetti nazionalizzati. Si tratta di un fenomeno al quale dobbiamo fare attenzione se non vogliamo finire come l’olio d’oliva, la pasta o le carni suine.

Nel caso di olio d’oliva e pasta si assiste a grandi quantità di materia prima che diventano prodotto italiano anche perché la produzione nazionale è insufficiente.

Vero, come in particolari annate può rivelarsi insufficiente anche quella di vino. Ma qui voglio soprattutto lanciare un allarme perché porre l’accento sull’origine della materia prima agricola significa voler rafforzare la produzione da un lato e la redditività degli agricoltori dall’altro. Si tratta di una battaglia portata avanti da anni da diverse organizzazioni agricole.

Quando si tratta di fare annunci e proclami per chiedere l’indicazione in etichetta della materia prima italiana nei prodotti Made in Italy sono tutti in prima fila. Tuttavia, rafforzare l’origine delle materie prime poi ha un contraltare: implica investire sul rafforzamento della produzione, sulla crescita delle dimensioni medie aziendali. Per fare una pasta 100% italiana occorre rafforzare la produzione di grano Made in Italy, aumentandola o promuovendo l’efficienza nei processi produttivi.

Insomma, la difesa dell’agricoltura italiana spesso resta un obiettivo “sulla carta”. Anche nel caso delle amministrazioni tutti a parole si dicono a favore dell’agricoltura ma poi nel concreto gli atteggiamenti cambiano e i messaggi diventano spesso contraddittori.

Ad esempio, vogliamo tutti tutelare i prosciutti italiani ma poi nella realtà pochi sono disposti a convivere sul proprio territorio con i cattivi odori che spesso sono legati agli allevamenti di suini. Tutti vogliono a parole che sul proprio territorio ci siano vigneti ben curati e coltivati ma poi emergono un mucchio di restrizioni ai trattamenti chimici persino quando in vigneto vengono utilizzati prodotti autorizzati. E non va meglio nel caso del biologico che tutti a parole vogliono ma se poi un agricoltore comincia all’alba a praticare i trattamenti con lo zolfo nei vigneti, diventa un problema! Per non parlare di una delle principali minacce per i viticoltori degli ultimi anni, gli ungulati.

Il punto è che la gestione della fauna andrebbe differenziata tra le aree boschive e quelle nelle quali invece si pratica un’agricoltura produttiva che crea valore aggiunto e occupazione. In questo secondo caso, gli agricoltori dovrebbero avere più libertà nel potersi rivolgere alle organizzazioni venatorie per promuovere la caccia e quindi politiche di contrasto agli ungulati. Mentre invece dobbiamo sottostare ai limiti validi per tutti.

Come quello che l’attività venatoria non può cominciare prima del 15 settembre. E quindi possiamo solo affidarci alla buona sorte e sperare che qualche grappolo d’uva arrivi fino alla vendemmia e non sia stato mangiato prima da cinghiali e caprioli. Insomma, si tratta di tutti temi concreti e che andrebbero affrontati sul campo. Solo così di difende davvero l’agricoltura italiana. Non basta chiedere di tanto in tanto che sulle etichette dei prodotti alimentari sia indicata la presenza di materie prime Made in Italy.

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