La speranza è che i benefici cardiovascolari riconosciuti agli oli extravergini di oliva dalla Food and Drugs Administration, l’Agenzia per la salute alimentare statunitense, possano ridare un po’ di slancio all’export italiano, che proprio in USA appare quest’anno in affanno.
I dati dell’US Census Bureau, l’ufficio statistico americano, certificano, per gli oli di oliva Made in Italy, un 9% in meno di spedizioni fisiche nel bilancio dei primi tre trimestri del 2018 (il confronto è con lo stesso periodo dell’anno precedente), con un 3,6% di minori incassi. Un risultato che fa il paio con il dato negativo degli oli spagnoli, di cui gli USA hanno importato, a tutto il mese di settembre, un quantitativo inferiore del 19% rispetto ai livelli del 2017, risparmiando oltre il 14% in esborsi valutari.
Se i due big arretrano, mantenendo comunque il primato sul mercato a stelle e strisce (la Spagna per movimentazioni fisiche, con 82 mila tonnellate, l’Italia per volume d’affari, con oltre $ 400 milioni), gli altri player, ad iniziare da Tunisia e Turchia, guadagnano preziosi punti di share. Triplica gli incassi Tunisi, che in nove mesi ha sfiorato € 160 milioni, grazie a volumi tre volte superiori a quelli del gennaio-settembre 2017 (oltre 38 mila tonnellate). Ma avanzano a passo svelto anche le esportazioni di oli turchi, con quantitativi e valori quasi doppi a distanza di dodici mesi, balzati rispettivamente a 23 mila tonnellate e a $ 87 milioni.
Double digit anche la crescita delle importazioni USA di oli di oliva battenti bandiera del Marocco e Portogallo. Più lenta, ma sempre positiva, la dinamica di Atene, mentre il Nuovo Mondo perde colpi sul mercato yankee, con l’Argentina in picchiata e l’export di oli cileni e australiani in retromarcia.
Complessivamente, le importazioni oli di oliva in USA si sono ridotte, nei tre trimestri in esame, di oltre l’1%, mentre è aumentato del 2% il corrispettivo in valuta.
I dati ISTAT, che presentano un ritardo di un mese rispetto a quelli del US Census Bureau, confermano fino al mese di agosto il 9% in meno di spedizioni fisiche in USA, ma amplificano al -15% la perdita valutaria, anche per l’effetto cambio.
In generale, il ritorno a livelli normali della produzione nella campagna 2017/18 non ha avuto riflessi sostanziali sull’export di oli di oliva tricolore, che in otto mesi (da gennaio ad agosto 2018) hanno sperimentato appena l’1% di crescita a volume (dopo il meno 17% del 2017), cedendo il 3,8% in termini di fatturato (-3% nell’intera annata trascorsa).
A tirare il freno non sono solo le spedizioni in USA, ma anche in Germania e Giappone dove, in entrambi i casi, emergono riduzioni di oltre il 5% in quantità e attorno al 9% in valuta. Avanzano al contrario le vendite di oli italiani in Canada e Spagna, dove l’export archivia aumenti a doppia cifra, con buone performance anche in Svizzera e in Nord Europa, grazie soprattutto ai progressi registrati in Regno Unito, Svezia e Paesi Bassi.