La sostenibilità non è solamente meno chimica nel vigneto, ma un concetto molto più ampio che investe a 360 gradi tutti gli ambiti della filiera, ogni anello del processo produttivo e distributivo e che – soprattutto – può rappresentare la frontiera futura della viticoltura italiana perché dall’ottimizzazione dei processi produttivi possono scaturire soluzioni in grado di innescare nuovi percorsi di sviluppo.
Di tutto ciò sono convinti a Castello Banfi, azienda pioniera del Brunello di Montalcino che proprio quest’anno festeggia i 40 anni di attività e che oggi registra un giro d’affari di oltre € 62 milioni (escluso le operazioni intercompany) realizzato su circa 86 Paesi.
Castello Banfi proprio in questi giorni a Montalcino (Siena) ha presentato il proprio bilancio di sostenibilità, un documento, destinato in futuro a integrarsi col bilancio di esercizio dell’azienda e nel quale sono riportate tutte le iniziative e gli investimenti messi in campo dall’azienda per rafforzare la propria sostenibilità, ambientale, economica ed etico sociale.
«Si tratta di un percorso lungo e complesso – ha spiegato l’AD di Banfi SRL, Enrico Viglierchio – che prevede un’analisi approfondita del ciclo produttivo nella sua interezza dall’impianto del vigneto fino alla consegna del vino al consumatore finale. Il nostro percorso prevede che in ogni singola fase si mettano a punto dei parametri misuratori della sostenibilità. Questo non esclude che ci siano ambiti con un’incidenza maggiore di altri sul piano della sostenibilità complessiva o che presentano margini di miglioramento più pronunciati rispetto ad altri momenti della produzione. L’obiettivo è l’ottimizzazione dell’intero processo».
È opinione diffusa che la sostenibilità nel settore del vino sia soprattutto legata alla riduzione dell’uso dei fitofarmaci. «È chiaro che quello resta un capitolo importante – aggiunge Viglierchio –la sostenibilità per molte imprese passerà anche dalla rinuncia all’utilizzo di alcuni principi attivi. Ma direi che altrettanto importante è l’ottimizzazione nell’uso dell’acqua, una risorsa che in annate come la 2017 abbiamo scoperto quanto possa rivelarsi scarsa e preziosa. La realtà è che – può sembrare paradossale – per fare il vino occorre molta acqua. Occorre nel vigneto ma occorre in cantina per i lavaggi delle uve e per la pulizia della cantina in genere. Grazie al lavoro di questi anni abbiamo messo a fuoco come con impianti viticoli che prevedano l’irrigazione mirata è possibile ottenere una notevole riduzione dei consumi idrici. Ma un impatto forte lo possono avere anche le diverse forme di colture. La vite “ad alberello” ad esempio utilizzata sui suoli giusti e con le varietà più adatte può richiedere molta meno acqua rispetto alla media e questo perché la pianta sviluppa con la forma “ad alberello” un metabolismo più efficiente».
È chiaro quindi che le diverse soluzioni di ottimizzazione hanno importanti riflessi positivi sia sull’ambiente sia sotto il profilo etico. «Ma non mancano i benefici economici – aggiunge l’AD -. Lo spostamento dell’acqua comporta una rete idrica e significativi costi energetici visto che avviene attraverso un sistema di pompe. Per questo stiamo lavorando alla messa a punto in cantina di un sistema di riutilizzo e di potabilizzazione delle acque che potrebbe portare a un abbattimento dei consumi idrici da fonti esterne di circa il 30-40%. Acque che da un punto di vista normativo non possono ancora essere reimmesse nella rete idrica convenzionale ma possono essere adottate per usi industriali come lavaggio piazzali, lavaggio cantina e altro».
Altro ambio ancora nel quale si possono ottenere importanti risultati in termini di sostenibilità è quello della manutenzione e del lavaggio delle macchine agricole. «Un trattore in cattive condizioni è inquinante – dice ancora Viglierchio – come possono avere un pesante impatto ambientale i percolati degli oli e dei lubrificanti utilizzati per le macchine agricole: Quindi un lavaggio approfondito può rivelarsi molto importante. Ma più in generale riguardo alle macchine agricole importanti benefici potrebbero venire dallo sviluppo di trattori più leggeri o che non si muovano solo col gasolio ma che abbiano una ibrida o elettrica».
Infine, altro segmento sul quale stanno investendo a Castello Banfi è quello dei vitigni resistenti. «Abbiamo puntato su alcuni ibridi sviluppati da San Michele all’Adige e su altri invece dell’Università di Udine – spiega ancora Viglierchio –. Abbiamo cominciato due anni fa e a partire dalla prossima vendemmia, quella 2019, potremmo forse raccogliere i primi grappoli. Si tratta di coltivazioni che consentono di abbattere il ricorso alla chimica o che, essendo resistenti a condizioni climatiche estreme, evitano all’agricoltore di dover effettuare interventi di soccorso. Valuteremo i risultati ma di certo ci aspettiamo che anche da questo “filone” di ricerca possano venire importanti suggerimenti. Ma lo step che davvero auspichiamo per il prossimo futuro è che molte di queste soluzioni che stiamo mettendo a punto in questi anni non restino confinate nell’ambito aziendale ma diventino patrimonio di molti altri viticoltori. Perché queste stesse soluzioni se adottate su una scala più ampia possono davvero far compiere un salto di qualità sul piano della sostenibilità non solo all’enologia toscana ma anche a quella nazionale».