«Grandi investimenti, grandi sacrifici, sempre concentrati sul miglioramento dell’efficienza: eppure non serve a nulla. Rincorriamo costantemente Paesi come il Brasile o la Thailandia». Hanno il sapore di uno sfogo le parole proferite in Commissione Agricoltura del Senato da Claudio Gallerani, Presidente COPROBI, la Confederazione Generale dei Bieticoltori italiani. L’oggetto di discussione sono le problematiche del bieticolo-saccarifero, un comparto ostaggio di cinque colossi che a livello mondiale detengono il 75% della produzione e afflitto da pericolosi fenomeni di dumping che, a detta degli autorevoli operatori presenti a Palazzo Madama sfrutta il Sud del mondo per smaltire le eccedenze.

La richiesta che arriva dagli operatori più rappresentativi (Unionzuccero e nuova ABI) è unanime. Due su tutte: una politica industriale seria che rivitalizzi le imprese senza mantenerle in vita attraverso l’erogazione di fondi a pioggia e politiche antidumping.

Oggi in Italia si producono 8,5/9 milioni di tonnellate di zucchero a ettaro. Gallerani punta all’obiettivo di 10 tonnellate di zucchero a ettaro, contro le 8/9 attuali e ha annunciato che a gennaio partirà il nuovo impianto per la lavorazione del grezzo. Il Presidente di COPROBI indica inoltre, tra gli obiettivi prioritari per il settore, un «patto per lo zucchero» che riequilibri le risorse.

È Piero Tamburini, AD di SADAM, a descrivere il clamoroso paradosso del comparto. «A fronte di una auspicata abolizione delle quote, l’Unione Europea ha mantenuto i dazi, per cui il mercato è invaso dal prodotto che arriva da Thailandia e Brasile».

Tamburini esterna poi una preoccupazione: «Cinque imprese nel mondo detengono il 75% della produzione. E questi cinque gruppi stanno conquistando quote nei mercati periferici, con l’obiettivo, a mio modo di vedere, di estrometterci dal mercato».

Duro il giudizio dell’AD di SADAM contro gli incentivi fini a se stessi. «La riforma del 2006 – ricorda – aveva creato un fondo di ristrutturazione grazie al quale non è stato licenziato neanche un dipendente, ma bisogna anche fare delle riflessioni serie di politica industriale, rispetto ad un approccio che tiene in vita un sistema in perdita».

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